Era una vez

Nell’agosto del 2013 avevo aperto un blog, è durato pochi post. Aveva come obiettivo quello di scrivere del sessismo quotidiano che vivevo sulla mia pelle o a cui assistevo.

Non sono riuscita ad essere costante e molti episodi erano così frustranti che non volevo riviverli.

Trovo però che sia utile ricordare ciò che è stato scritto, quindi copierò di seguito i post pubblicati qui.

Padre nostro

Ogni giorno mi alzo, mi lavo, parlo, mangio, cammino, sbadiglio, penso, sogno, cago, piscio, litigo, sorrido. Ogni giorno ho una vagina, ogni giorno ho delle orecchie. Ogni giorno ho nuova rabbia.

Ogni giorno ascolto frasi che disprezzano, feriscono, insultano me o qualcuno per il proprio sesso o per la propria sessualità. Ogni giorno subisco impercettibili violenze o vedo altri e altre subirle.

Oggi ho deciso di raccogliere qui questo quotidiano. Tutti gli episodi in cui la mia ulcera si ingrandisce e tutti i casi in cui reagisco o subisco. Perché non è facile lottare, non è facile essere attive e resistere. Non per me almeno.

invalidità

Luglio 2013

Mare.

Sono seduta in spiaggia, c’è poca gente, è ancora inizio luglio. Accanto a me due ragazzi, giovani, giocano a tamburelli. Uno dei due fa fatica a giocare, l’altro ci va giù pesante, un colpo dietro l’altro sempre più forte. Quando il suo amico fallisce nel prendere l’ennesima palla, lui gli urla “Arà ma sì na fimminedda”, ovvero – in italiano- “Ma dai, ma sei una femminuccia”.

Ho chiuso il libro e sono andata via.

Potrei richiamare alla memoria centinaia di episodi in cui l’incapacità in uno sport sia associata all’essere donna. Come potrei riempire un quaderno con tutte le espressioni di sorpresa rivoltemi da conoscenti e amici vedendomi giocare a biliardino, ping pong, racchettoni. “Oh ma sei brava”. Oh sì, nonostante le minne.


Un’amica, molto cara, ha dei problemi con il padre. Lui le pone dei limiti mascherati da “la sicurezza prima di tutto” che però battono esattamente sul fatto che lei è femmina.

Una sera mi scrive per sfogarsi e alla fine sul piccolo schermo di whatsapp compare un “odio essere donna”.


Talho

4 o 5 Agosto 2013

Sono schiacciata tra diverse persone in uno chalet dove passo le vacanze, c’è una “serata raggae” (anche se numerose voci di protesta si levano per la musica poco raggae:)) e mi sono unita al gruppo anche se non ho troppa voglia di abballare. Ma delle volte riesco anche a superare la mia rigidità in cambio di un po’ di sana socialità. E comunque mi fa piacere essere lì, per diversi motivi.

Mi muovo, cerco di ballare per adattarmi al ritmo della folla. Sto quasi per rilassarmi (notoriamente odio la confusione) quando sento una mano che mi palpa il culo. Proprio senza possibilità di fraintendimento. Mi giro, incazzata come una iena: davanti a me un ragazzo enorme, quasi rettangolare, che mi guarda con la faccia da “embè, che male ho fatto?”. Riesco a dire un “tieni le mani a posto per favore e vattene da qui”. Lui alza le sopracciglia e se ne va.

Tento di rimettermi a ballare, ma sono una belva. Mi tornano in mente molte situazioni in cui mi sono successi episodi simili, più o meno disgustosi. E mi passa la voglia, già poca, di ballare. Qualcuno, uno sconosciuto, mi impedisce di starmene tranquilla perché vuole mettere le mani sul MIO corpo. Invade il mio spazio, il mio intimo, mi tratta come un pezzo di carne. Questa non è una macelleria mio caro. Chi debba mettere le sue mani su questo culo lo decido io.  Forse dovrei scriverlo su una maglietta da indossare ogni volta che vado in giro in luoghi affollati, come i  mezzi pubblici nell’ora di punta o le serate, che siano in un pub fighetto, o, peggio, in un centro sociale.

Pensavo fosse più facile scrivere di queste situazioni. Non lo è affatto. Da un lato perché c’è una parte di storia personale, che non può non esservi. Dall’altro è complesso tradurre in parole – sensate – la rabbia costante e persistente di portarsi in giro un corpo su cui chiunque  pensa di aver il diritto di posare le mani o i gioielli della corona. Ancora più difficile è esprimere il disagio di vedere come siano eventi capillari e trasversali ad ogni circostanza, situazione, età  e che  siano quasi già messe in conto. Succede, può succedere.  Sembrerebbe quasi strano che a qualcuna non fosse capitato di essere puntellata in bus, toccata, palpeggiata o che nessuno le avesse mai mandato un bacio non richiesto o rivolto gesti che richiamano alla fellatio (per dirne una).

E’ difficile scriverne, ma da qualcosa dovevo pur iniziare.

Piccole soddisfazioni

Dopo aver fracassato ovaie e maroni a tutt* i miei contatti fb per parlare di questo neonato blog e (soprattutto) per stimolare un po’ di partecipazione e di scambio, mio fratello (21) mi ha – giustamente – chiesto il link. Quando me l’ha chiesto, l’altro mio fratello (12) si è incuriosito e quindi ha iniziato con la trafila di “cos’è questo blog?su cos’è?mi spieghi?” durata mentre ero sotto la doccia e mentre masticavo il pranzo. Appena c’è stato un minuto di calma gliel’ho spiegato e ne ho approfittato per parlarne a tavola. Non è nata nessuna discussione e la cosa è morta lì.

Oggi non so esattamente come risultato di quale pregressa discussione, mio padre ha detto a fratello (12) “ma sì na fimminedda”. Fratello (12) con mio grande orgoglio ha urlato ” papà, questa espressione non si usa”  e poi ” [mio nome] hai sentito?ora puoi scriverlo sul tuo blog”.

E così fu. Questo è il quotidiano, impercettibile (e spesso accettato) e insospettabile sessismo quotidiano. E anche se potrebbe sembrare un orizzonte limitato, il semplice fatto di spiegarlo a mio padre e insegnare qualcosa ad una nuova gggenerazione, è una (grande) piccola soddisfazione!

 

Concedersi

Riporto un messaggio privato appena ricevuto da un’amica. L’altro giorno si parlava di mettere insieme le forze (e le sue competenze nell’uso di un programma di analisi dei testi) e di iniziare a “studiare” siti di giornali online (Repubblica.it and co. per capirci) per vedere come la lingua diventi veicolo di specifici messaggi sessisti e razzisti.

<<Siccome ti voglio proprio far arrabbiare, ti riporto la definizione di CONCEDERSI data da uno dei migliori vocabolari della lingus italiana (seriamente): “Darsi per vinto, arrendersi a qlcu.; in particolare detto di donna, accettare un rapporto sessuale”.

Il problema non e’ il vocabolario, ma il fatto che se vado a controllare sul database di cui ti parlavo basato su Repubblica.it, per la costruzione “CONCEDERSI A QUALCUNO” il terzo nome più ricorrente e’ proprio donna.

La prima cosa che ti insegnano a un corso serio di linguistica generale e’ che la lingua la fa l’uso, non la grammatica prescrittiva o il vocabolario: e come dimostrano i dati, l’uso e’ questo. Da cui la definizione sul vocabolario. Triste realtà. >>

Autodenuncia

Una settimana fa, circa.

 

Una delle cose più difficili in questo percorso (molto personale, ma mai solo individuale) di autocoscienza e di acquisizione di consapevolezza sulle tematichedigenere/sesso/sessualità/sessismo/echipiùnehapiùnemetta,  è quella di fare i conti con se stesse. Senza voler iniziare un discorso sull’importanza dei processi di socializzazione [z z z z z] che influenzano non solo ciò che ci aspettiamo da noi, ma anche ciò che pensiamo di (e vogliamo) rappresentare per gli altri, è ostico uscire fuori dalle scatole  in cui siamo cresciute e in cui ci siamo comodamente sistemate per molti anni.

Tra l’altro abbiamo appreso quanto sia facile conversare e chiacchierare senza conflitti condividendo con i/le nostri/e interlocutori/interlocutrici alcuni schemi di pensiero, e quanto sia piacevole sentirsi accettati e riconosciuti da questi/e. Non posso tenere a mente il conto delle volte in cui ho partecipato a conversazioni in cui si parlava di “donne” e “uomini” con le solite frasi fatte del “sono tutti uguali”, “siamo tutte uguali” per analizzare (?!) ed interpretare relazioni sentimentali, successi, fallimenti. Mi sono resa conto di aver acquisito termini ed espressioni che utilizzo quasi automaticamente, quando so che è quello che ci si aspetta da me. Per esempio ai pranzi e alle cene di Natale, con alcune amiche e così via.

E così è stato l’altra sera. Un’amica mi raccontava di una sua vicenda amorosa e di alcuni problemi. Ad un certo punto  mi ha detto “Non so, non pensavo proprio che non l’avesse capito!”. E io ho risposto “Bè, sai com’è con quei due neuroni che hanno in testa gli uomini“.

Mi sono subito sono sentita a disagio, per una frase di cui non condivido il contenuto [devo elencare i motivi? 1)chi sono gli uomini? 2)cosa determina le capacità intellettive degli essere umani? 3)cosa dovrebbe mai rendermi capace di conoscere tutte le persone etichettate come ‘uomini’ sulla faccia della terra e le loro capacità intellettive? 4)etcetc ] e per la scioltezza con cui l’avevo utilizzata nella conversazione.

E’ una lotta costante contro pensieri, valutazioni, ragionamenti che ho sempre considerato – non dico normali ma – accettabili e che ora trovo insostenibili ed estranei alla mia persona.

Ho iniziato a farli notare a mia madre, anche se non è facile, dice che sono sempre troppo polemica. “Noi donne (inserire frase su ciò che sappiamo/non sappiamo fare), loro uomini (inserire frase su ciò che non sanno/sanno fare)”, dice sempre.

La strada è lunga. Io intanto mi sono già fatta una bella multazza.